Ancora sugli stati di transito


Ogni momento della nostra vita crea una devianza dimensionale, le varie realtà si separano e creano nuove prospettive, a seconda delle nostre scelte.. Nel lungo viaggio che seguì Doradrin e Gillian presero strade diverse o uguali a seconda delle loro scelte generando così infinite dimensioni di provabilità. In alcune di esse Lui bacia ancora l’ultimo pensiero di Lei prima di assopirsi… In altre.. lacrime di sale solcano il suo volto… Ogni giorno…

Da Alchimie (racconto breve) Marco Casini 2004

stati di transito

 

 

 

L’uomo di legno


L’uomo di legno non aveva ne cuore ne anima, aveva perso entrambi tanto tempo prima.
A volte correva con gli ermellini, nei boschi lontano dal mare  Lunghi i sui passi tra pioppi e castagni e rumore cadenzato nello scricchiolio delle foglie cadute d’autunno.
Lacrime di rugiada gli scendevano dagli occhi, ed ogni volta che  il terreno le accoglieva fioriva un boccio,  lui correva lontano.
Poi la radici in un campo di fragole quando era ormai vicino alla fine…
Lasciò che i suoi piedi mutassero forma e penetrassero giù, dove la terra era amore… Lasciò che le sue braccia si levassero al cielo poi chiuse gli occhi, ed il sogno morì…

Ancora oggi quando la luna gli illumina le foglie una lacrima cade da quel nodo, nel tronco situato a metà… E pallido un fiore sboccia nel fango,appena lontano,da quel campo sperduto, Dove le fragole occhieggiano al sole…

A primavera…

Marco Casini
novembre 2010

Immagine dal Web

La spada di Jorghe IX


Soffiava ancora un vento caldissimo originato dal Fulminaluce che si era scontrato con l’aria molto piu’ fresca della foresta quando trovarono la radura, un cerchio delimitato da grandi pietre rettangolari adagiate sul terreno a intervalli regolari di cinque metri l’una dall’altra. Gli alti fusti degli alberi la circondavano non riuscendo ad attraversarla, era un circolo di stasi perfetta, anche l’aria era immota.
I due grandi animali si disposero al centro fronteggiandosi accucciati come due sfingi pur nelle loro differenze sembravano avere la stessa postura e la stessa espressione d’attesa.
-Andiamo Sora, è tempo-
Si sedettero entrambi tra le zampe dei rispettivi compagni, fronteggiandosi Jorghe e la Lira Sora ed il Flauto, tra loro brillava il grande smeraldo. Cominciarono piano una musica lenta che scaturiva dai due strumenti e si innalzava sempre più mentre la pietra verde cominciava a illuminarsi di strani bagliori. per poi unire le note in un parossismo struggente che sembrava strappare l’aria e la struttura del tempo stesso, che rimandava a riti antichi e a terre lontane. Improvvisamente anche le pietre che delimitavano la radura sembrarono unirsi come pervase da scintille verdi che partivano dal centro e che le collegavano tra loro. Un esplosione di luce e la radura non c’era più, si ritrovarono ai piedi di una grande scalinata di pietra che conduceva ad un tempio, unica costruzione che si poteva scorgere fin dove lo sguardo poteva posarsi, erano giunti al mondo di mezzo.

– Voi siete i primi e gli ultimi, sarete ancora qui quando l’ultima luce avrà lasciato la storia, allora e solo allora vi sarà concessa la fine -.
Jorghe ricordò di aver sentito la stessa voce e le stesse parole sul pianeta di ghiaccio dove si era risvegliato dopo il naufragio.
– Voi siete gli Arconti, principi guerrieri due di quattro, ma non di coppia. Il ghiaccio sta col vento come il fuoco con la terra.
Ralissa e Kenele mancano ancora al compimento della quadruplice –
– I ricordi del passato sono chiusi nella vostra memoria, ma non si scioglie il sigillo fino a che la spada di Jorghe non avrà i quattro gioielli, in questa fase solo il diamante e il rubino sono incastonati –
– Io sono la Protostella dalla quale tutto ha avuto origine, ma altre Protostelle esistono in altri insiemi, Io ho creato te Jorghe nel primo caos, quando le altre stelle erano gelide e solo l’acqua poteva insediare la vita, e te Sora perchè tu le accendessi, Ralissa e Kenele gli ho creati insieme la terra per formare i pianeti il vento per spargere la vita –
– Un insieme è un tutto, di tempo di spazio e contemporaneamente è la negazione dello stesso, niente è lasciato al caso, anche se lo stesso lo governa –
Jorghe ebbe una visone di grandi macchine che  scomparve immediatamente. e la voce continuò.
– Domani, adesso è tempo d’ infinito –
La voce tacque e i due arconti cominciarono a salire la gradinata che portava al tempio.

 

La spada di Jorghe VIII


Fulmini e ghiaccio. La lupa superò in un balzo l’ultimo tratto di quel ponte instabile, mentre già la sponda interna stava cedendo risucchiata dalle acque, erano in salvo e finalmente ricongiunti ai loro corrispettivi Sora e Nimile Jorghe e Arkadia.
La cacofonia di onde telepatiche invase l’aria in un’ eufonia di gioia che sembrava emettere scintille.
Avevano avuto tutto il tempo di riconoscersi quando ancora le opposte rive del mare interno li dividevano ma vedersi lì faccia a faccia era comunque una sensazione di nuovo e d’antico.
Jorghe si diresse ancora verso l’altare e infilò la spada di ghiaccio in una fessura accanto alla croce che aveva azionato il ponte, al centro dell’ara di pietra si apri un varco, rivelando il flauto e la falce che Sora riconobbe come i mezzi che aveva sempre avuto, in ogni tempo e in ogni dimensione dove la successione degli eventi l’aveva portata. Un’attimo dopo l’atare sparì lasciando al suo posto uno smeraldo delle dimensioni di un’arancia, la chiave per il mondo di Ralissa l’Arconte dell’aria dopo avrebbero cercato Kenele il compagno della terra, ma prima di tutto dovevan o trovare il modo di lasciare il pianeta di Sora e di accedere al mondo di mezzo, per sapere cosa gli aveva portati di nuovo a doversi schierare per salvare ancora il collasso del tempo.

La spada di Jorghe VII


Fulminaluce, un fenomeno che raramente si verificava ed era apocalittico la luce dei due soli si concentrava come una lama creando in terra strisce di desolazione, niente resisteva alla furia ardente di quei due colossi dello spazio. Cominciò nei pressi della fornace, forse una sacca di gas sviluppatasi dalla lavorazione sfuggito ai filtri della fabbrica. L’aria si incendiò e prese fuoco in una vampata che annichilì ogni essere vivente nel raggio di cento metri e che genero’ due raggi gemelli che correvano

saettando sul terreno.scavando solchi profondi mezzo metro. La furia del fuoco raggiunse in breve la riva del lago compiendo in poco tempo lo stesso tragitto che Arkadia e Sora avevano percorso correndo per delle ore. La rossa fiamma traversava l’acqua facendo ribollire il lago e lasciando una striscia di vapore. Raggiunta la riva opposta si scontrò con la stele che sembrava incredibilmente resistere indenne al passaggio di tanta furia, Il raggio rosso incapace di attraversarla iniziò a risalire dalla base centimetro dopo centimetro, ma la sua furia era inefficace, la stele si opponeva come un gigante che sbarrava la strada.Jorghe osservava lo strano fenomeno fino a che non vide la rossa luce attraversare il varco della croce uscendo come una furia dall’altro lato per poi spegnersi improvvisamente dopo aver bruciato ed estirpato ogni traccia di vegetazione. La grande croce di terra nuda spiccava come una ferita sul terreno ma qualcosa che prima era nascosto si era rivelato con l’azione distruttiva del raggio.
Un’altare di pietra spiccava al centro della radura. Jorghe si precipitò verso quella che non sapeva se essere realtà o un apparizzione.
Antico, un senso di ancestrale rispetto lo colse, le sue mani premettero la croce in risalto al centro della pietra e una cengia di pietra si innalzò creando uno stretto spartiacque sul lago.
Arkadia trascinò Sora in una corsa folle sulla striscia di pietra, una macchia azzurra un fulmine che eruppe sulla sponda come una visione indistinta. Il tempo adesso poteva tornare a scandire le ore…

La spada di Jorghe VI


Le due lune erano alte nel cielo e rischiaravano la notte creando scintille sull’acqua quando una nuvola di polvere annunciò l’arrivo di Arkadia sull’altra riva, Sora penzolava attaccata al collo della grande lupa, il ruggito di Nimile le dette il benvenuto.

Quel che sì’appaga al sole non è il segno meno… La frase gli ronzava per la testa dovevano trovare un modo per traghettare i due dall’isola alla terraferma. Jorghe e Sora si stavano scambiando telepaticamente le informazioni in loro possesso. Il Bosco non ha trama, la trama del bosco l’avevano dipanata giungendo al grande mare interno. Il tempo della semina era un chiaro riferimento alle loro prossime mosse e comunque non riguardava l’immediato futuro. rimaneva l’altro enigma. Il segno meno e l’appagarsi al sole. Cosa voleva dire, ne Jorghe ne Sora riuscivano a comprendere.
Ancora una volta il grande felino venne in loro soccorso. Un immagine si formò nella mente dei due, una grande stele di pietra con due segni che l’attraversano un tratto e una croce, la linea era attraversata dalla luce di Sibilla, la piu’ grande delle due lune ma non stava producendo effetti di sorta. Quel che s’appaga al sole… Avrebbero dovuto aspettare il giorno per risolvere l’enigma. Rinunciarono ad un immediato ricongiungimento e si accamparono sulle rive opposte di quel braccio di mare che sembrava invalicabile, ma l’eufonia delle loro menti illuminava i loro pensieri man mano che ricordavano ogni momento vissuto prima.

Giada e Smeraldo
il mondo è sotto l’arco
ma l’anatema
avvolge il sistema.

La musica può fare
il conto delle ore
è ora di trovare
il flauto sull’altare.

Le prime luci dell’alba li avvolsero nella luce rossa delle due stelle che inseguivano nel cielo Sibilla e la sua compagna scacciandole in un trionfo di Luce rosso rubino.

Jorghe raggiunse Nimile sotto la grande stele mentre Arkadia e Sora seguivano la posizione dall’altra riva. Dovevano attendere che la luce di uno dei due soli attraversasse la croce, il segno più.

La spada di Jorghe V


-Svelto corri qui sta crollando tutto-

Una saetta scura balenò alla destra di Jorghe e gli rispose con un ruggito possente che scuoteva l’aria. Balzò sul dorso del felino come tante volte aveva visto fare a Sora,
Nimile fece un cenno di assenso e parti come una freccia che forava la jungla.
Correvano ormai da una buona mezz’ora, quando videro del fumo poco lontano e il rumore crescente classico dell’ onda sulla riva. Quel mondo non finiva mai sorprenderlo, prima il deserto e adesso sentiva distintamente la risacca, cosa gli avrebbe riservato ancora ?
Gli ultimi alberi si affacciavano su una breve lingua di sabbia rossa… Quello non cambiava, era il tema corrente, ma non era un mare quello che vedeva, ma piuttosto un grande lago con al centro un isola dalla quale si levano fumi provenienti da alte ciminiere. Il ruggito di Nimile si levo’ come un boato e nella mente di Jorghe si formò un immagine, Sora era lì.

I colpi alla porta della stalla destarono la ragazza che corse a vedere che succedeva.
-Kappa che diamine che succede ?-
L’animale era inarrestabile correva in circolo per tutto il perimetro della stalla e si gettava sulla porta manifestando la chiara intenzione di voler uscire. Sora era spaventata e preoccupata che potesse ferirsi, scese i gradini e corse alla porta aprendola con la consapevolezza che Kappa sarebbe fuggita via forse rispondendo ad un richiamo lontano tornando così al suo mondo che lei non conosceva.
La grande lupa la sorprese, varcò la soglia emettendo un ululato che squarciò la notte.
Dall’altra riva del lago Jorghe seppe che anche Arkadia era lì e Sora con lei, le menti dei due Arconti si fusero all’istante la metà dell’ uno era completa.
Quel che sì’appaga al sole non è il segno meno…
Sora e Arkadia cominciarono a correre fino a che la grande lupa non si sdraiò facendo intendere a Sora di montarle in groppa, parti come un fulmine mentre la ragazza le abbracciava il collo.
Nimile ruggì ancora e si accucciò guardando l’isola.

La spada di Jorghe IV


Ehi ragazza portami una birra !

Sora si volse alla volta dell’ avventore, un tipo scialbo con le piastrine della gilda dei fonditori di metallo. Erano tutti così, la fornace gli mangiava prima i capelli poi gli occhi, fino a che non restava che un guscio vuoto e asciutto, che a poco a poco si sarebbe disperso come cenere nel vento. Venivano reclutati nelle prigioni, tra coloro che non avevano nulla da perdere, paga e cibo abbondante e il condono da ogni reato in cambio dei pochi anni di vita che riuscivano a strappare alla fusione del rosso rubino. . Le consegne per i ristoratori e gli albergatori erano di soddisfare ogni loro lecita richiesta senza curarsi che fossero ancora sobri, e di liberare i cani nel caso si facessero invadenti. Era quasi mezzanotte, Sora servì la birra e riscosse cinque stellari rosso rubino, consegnò la somma all’oste e uscì dalla locanda, il suo turno era finito.
Non c’era luna ne stelle, in quel cielo costantemente coperto da una coltre di nebbia, solo di tanto in tanto si intravedeva il chiarore dei due soli purpurei. Nient’altro che sabbia rossa ovunque posasse lo sguardo quella stessa sabbia che veniva fusa per ricavare il rubino, ma che liberava vapori di cianuro sottoposta a fusione.

– E’ il tempo della semina, il bosco non ha trama-

Quella e altre frasi gli balenavano per la testa da qualche giorno, da quando aveva avvertito il palesarsi di una presenza che sentiva di conoscere ma che tuttavia non riusciva a identificare. Varcò la porta di casa, tolse la fascia che gli teneva i rossi capelli e si distese sulla branda, il guaito dell’animale gli giunse dalla stalla. Arrivo Kappa, fammi respirare un po’. L’aveva chiamata così, non sapendone il nome aveva una K bianca tra le orecchie dritte, ed era l’unica cosa azzurra che avesse visto nella sua giovane vita, una lupa azzurra di una mole incredibile avrebbe potuto cavalcarla come i gospri, i quattrozampe da corsa del suo mondo. Era apparsa nella stalla vuota come per magia, l’aveva guardata negli occhi come l’avesse riconosciuta mentre un ricordo si era formato nella sua mente.

Sora il flauto e la falce…

-Dai ragazzina smettila di sognare-, disse a se stessa, ma non era certa, un brivido gli percorse il corpo e l’immagine di una guerriera con il suo volto si affacciò ai registri della memoria…

 

La spada di Jorghe III


-Comandante, la tempesta sta sfasciando la nave abbiamo appena perso l’albero maestro.-

-Il cielo abbia pietà delle nostre anime, non ho mai visto un uragano di queste dimensioni-
-Dio perchè ci hai negato il cielo…-

Continuava a sentire quelle voci, gli ultimi momenti prima che la nave svivolasse nel gorgo. Si era svegliato legato a quel troncone non sapendo come avesse fatto, ma quello gli aveva salvato la vita.

L’ orizzonte degradava di colpo in una parete a picco che scendeva per diverse decine di metri, fin dove l’occhio poteva spaziare poteva solo vedere nebbia. Il contrasto con il paesaggio alle sue spalle era evidente, pensò che sotto quei due soli l’unica spiegazione era che la valle fosse una giungla un acquitrinio malsano. Non ebbe troppo tempo per pensare una voragine si apri sotto i suoi piedi, facendolo precipitare. L’abbraccio della vegetazione fu provvidenziale, cadeva amcora ma la sua corsa si stava lentamente arrestando e fu allora che comincio’ a vedere le prime piccole creature simili a scimmie che saltavano tra gli alberi. Usò la spada come un machete aprendosi una strada, il ruggito potente lo colse di sorpresa ma lo riportò in un altro tempo, in un’ altra era, Nimile, Sora non doveva essere lontana.

C’ era un legame tra i quattrro e i loro animali totem, Jorghe raggiunse Nimile e la pantera rispose con un moto di sorpresa, era stanca, non sapeva dove fosse Sora, aveva solo avvertito che fosse in quel mondo, ma non l’aveva trovata, la furia felina aveva preso il sopravvento e aveva iniziato a correre senza una meta, poi avvertendo una presenza, un ricordo, si era scagliata contro la parete friabile, causando la frana che l’aveva tirato giù. Apparve nesssun dubbio che fosse un felino, ma la mole gigantesca e i denti a sciabola la facevano somigliare più ad un animale estinto, o forse mai esistito…

-Sta buono Nimile, la troveremo insieme…-
Il ruggito si spense e una lacrima scese dai grandi occhi. la foresta tornò silenziosa.

La spada di Jorghe II


L’ alba rossa lo trovò disteso tra le sabbie di un deserto arroventato, abbacinato da un sole nascente di dimensioni spropositate. Di colpo si paro’ gli occhi con il braccio girandosi prontamente nella direzione opposta. alzandosi si accorse che av eva al fianco la spada di ghiaccio e assicurata sulle spalle la Lira argenetea. Rivisse allora il sogno e le parole che si erano palesate nella sua mente.

– Tu sei l’uno di quattro trova gli altri e i corrispettivi, il fuoco, l’acqua e la terra, nelle tue mani l’aria e il potere che possiede. –

Camminava passo dopo passo tra quelle sabbie assurde senza intravedere un fine, una meta. spinto da quella stessa forza che l’aveva salvato dal naufragio. Stanco si sedette e si mise ad esaminare la sua spada e le pietre sull’ elsa. Tre, uno smeraldo sull’impugnatura un rubino e un topazio ai lati dell’elsa, di zaffiro la lama. I quattro, gli venne naturale toccare il rubino che così bene rappresentava quel mondo rosso acceso che stava calpestando.

La visione apaprve improvvisa.

Sora era il fuoco, lo era sempre stata avevano vagato per terre e tempi, per dimensioni astrali, aveva il dono della fiamma, ricordava le cicatrici delle ferite che lei cauterizzava con il solo tocco del dito. Anche ad Arcadia aveva piu’ volte salvato la vita impedendo l’emorragia. Arcadia. la sua Lupa da battaglia, dov’era adesso ?

Ricordò la scritta sulla cripta di ghiaccio ‘Quel che si mostra al giorno, non è l’anima del tempo, ma il centro del suo fuoco fuso’.

Doveva trovare Sora e dopo gli altri e Arcadia e Nimile. Nimile, la pantera di Sora.